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L’ITALIANO DELLA CANZONE

L’italiano per musica è molto cambiato nel tempo: non solo fra le arie d’opera e la canzone del Novecento, ma anche negli ultimi decenni, in cui la cosiddetta “musica leggera” ha assunto un’importanza sempre maggiore. Il problema di fondo, però, è uguale da secoli: l’italiano è la lingua della musica per eccellenza, ma nello stesso tempo, quando è cantato, deve spesso rinunciare al proprio ritmo naturale. Infatti, la musica costringe a selezionare in modo drastico le parole utilizzabili alla fine dei versi e, più in generale, i testi di canzone devono di solito sottomettersi a regole che li rendono molto meno efficaci se sono considerati di per sé, come fossero poesie tradizionali. Il volume passa in rassegna le scelte stilistiche, i metodi e talvolta gli stratagemmi con cui le canzoni moderne affrontano il problema.

Oggi i testi della musica leggera hanno sempre più importanza e sempre più spesso sono considerati allo stesso livello della poesia letteraria; o meglio, il ruolo che le canzoni hanno nella società attuale è simile a quello che una volta avevano non solo le arie del melodramma, ma anche le poesie.

La poesia contemporanea, infatti, occupa ormai una nicchia poco frequentata e, nello stesso tempo, le nuove generazioni sono sempre più lontane, per sensibilità e competenze, dalle poesie che si studiano a scuola. Invece, alcuni fra i testi delle moderne canzoni mostrano or – mai da decenni di aspirare ai gradini più alti della gerarchia letteraria. Più spesso che gli autori, la pensa così il pubblico, ossia i moltissimi che ascoltano musica e quasi non leggono più poesia – tanto meno contemporanea – se proprio non sono costretti dal sistema scolasti- co. Il recente premio Nobel per la letteratura a Bob Dylan è ovvia – mente un segnale in tal senso, ma per molti è stato solo la conferma di qualcosa che da molto tempo era scontato.

È arduo analizzare questo mutamento: il nuovo ruolo della canzone fa parte del tipo di fenomeni graduali che è difficile percepire per coloro che vi sono immersi. Talvolta – ma di rado – i critici letterari italiani hanno registrato questa evoluzione, e alcuni si sono spinti a supporre che la canzone possa infine prendere il posto della poesia propriamente detta, o almeno convivere con essa in un rapporto di parità. Più semplicemente, altri hanno esaminato le dinamiche sociali del mutamento in atto. Ad esempio, già negli anni Ottanta, Lorenzo Renzi provò a descrivere la nuova situazione, partendo da un presupposto innegabile: «quando si dice dunque che i giovani non hanno fame di poesia, vuol dire invece: non hanno fame della poesia che intendiamo noi». Ma aggiungeva che in tale evoluzione era visibile, in ogni caso, un progresso: ai tempi in cui lui aveva fatto il militare (uno dei modi in cui poteva avere il polso della situazione generale chi si occupava di letteratura nell’accademia) i soldati, e anche gran parte degli ufficiali, come massimo modello di poesia avevano canzonette d’amore con testi scontati e banalissimi; mentre negli anni Ottanta Guccini o De Gregori giocavano su un altro livello e raggiungevano comunque un amplissimo pubblico, tramite una forma d’arte in cui è essenziale l’elemento musicale, ma che comunque è una poesia «di molto superiore a quella che subiva la maggioranza dei giovani» solo alcuni decenni prima.

Oggi i cantautori di cui parlava Renzi sono divenuti, nel loro ambito, i classici e la scena è ulteriormente mutata, ma la situazione di fondo resta simile. Ovviamente, non è detto che tutto questo sia un guadagno per la poesia nel suo insieme: una cosa è il ruolo sociale, un altro è il valore artistico. Ma di sicuro l’attuale cultura di massa ha innalzato il livello dei testi di una parte della musica di consumo e, nel contempo, ha marginalizzato e indebolito la fascia più alta, ossia la poesia letteraria propriamente detta.

In linea di principio non ci sarebbe nulla di strano se la poesia ritornasse ad accompagnarsi alla musica; anzi, tale unione è la sua condizione originaria: l’esempio più facile sono i trovatori provenzali – gli iniziatori della poesia europea nel Medioevo – che di consueto scrivevano sia il testo che la melodia delle loro cansos; oppure, per il mondo classico, si può citare l’etimologia di “poesia lirica”, che in greco significa appunto “poesia da cantare accompagnandosi con la lira”.

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L’italiano per musica è molto cambiato nel tempo: non solo fra le arie d’opera e la canzone del Novecento, ma anche negli ultimi decenni, in cui la cosiddetta “musica leggera” ha assunto un’importanza sempre maggiore. Il problema di fondo, però, è uguale da secoli: l’italiano è la lingua della musica per eccellenza, ma nello stesso tempo, quando è cantato, deve spesso rinunciare al proprio ritmo naturale. Infatti, la musica costringe a selezionare in modo drastico le parole utilizzabili alla fine dei versi e, più in generale, i testi di canzone devono di solito sottomettersi a regole che li rendono molto meno efficaci se sono considerati di per sé, come fossero poesie tradizionali. Il volume passa in rassegna le scelte stilistiche, i metodi e talvolta gli stratagemmi con cui le canzoni moderne affrontano il problema.

Oggi i testi della musica leggera hanno sempre più importanza e sempre più spesso sono considerati allo stesso livello della poesia letteraria; o meglio, il ruolo che le canzoni hanno nella società attuale è simile a quello che una volta avevano non solo le arie del melodramma, ma anche le poesie.

La poesia contemporanea, infatti, occupa ormai una nicchia poco frequentata e, nello stesso tempo, le nuove generazioni sono sempre più lontane, per sensibilità e competenze, dalle poesie che si studiano a scuola. Invece, alcuni fra i testi delle moderne canzoni mostrano or – mai da decenni di aspirare ai gradini più alti della gerarchia letteraria. Più spesso che gli autori, la pensa così il pubblico, ossia i moltissimi che ascoltano musica e quasi non leggono più poesia – tanto meno contemporanea – se proprio non sono costretti dal sistema scolasti- co. Il recente premio Nobel per la letteratura a Bob Dylan è ovvia – mente un segnale in tal senso, ma per molti è stato solo la conferma di qualcosa che da molto tempo era scontato.

È arduo analizzare questo mutamento: il nuovo ruolo della canzone fa parte del tipo di fenomeni graduali che è difficile percepire per coloro che vi sono immersi. Talvolta – ma di rado – i critici letterari italiani hanno registrato questa evoluzione, e alcuni si sono spinti a supporre che la canzone possa infine prendere il posto della poesia propriamente detta, o almeno convivere con essa in un rapporto di parità. Più semplicemente, altri hanno esaminato le dinamiche sociali del mutamento in atto. Ad esempio, già negli anni Ottanta, Lorenzo Renzi provò a descrivere la nuova situazione, partendo da un presupposto innegabile: «quando si dice dunque che i giovani non hanno fame di poesia, vuol dire invece: non hanno fame della poesia che intendiamo noi». Ma aggiungeva che in tale evoluzione era visibile, in ogni caso, un progresso: ai tempi in cui lui aveva fatto il militare (uno dei modi in cui poteva avere il polso della situazione generale chi si occupava di letteratura nell’accademia) i soldati, e anche gran parte degli ufficiali, come massimo modello di poesia avevano canzonette d’amore con testi scontati e banalissimi; mentre negli anni Ottanta Guccini o De Gregori giocavano su un altro livello e raggiungevano comunque un amplissimo pubblico, tramite una forma d’arte in cui è essenziale l’elemento musicale, ma che comunque è una poesia «di molto superiore a quella che subiva la maggioranza dei giovani» solo alcuni decenni prima.

Oggi i cantautori di cui parlava Renzi sono divenuti, nel loro ambito, i classici e la scena è ulteriormente mutata, ma la situazione di fondo resta simile. Ovviamente, non è detto che tutto questo sia un guadagno per la poesia nel suo insieme: una cosa è il ruolo sociale, un altro è il valore artistico. Ma di sicuro l’attuale cultura di massa ha innalzato il livello dei testi di una parte della musica di consumo e, nel contempo, ha marginalizzato e indebolito la fascia più alta, ossia la poesia letteraria propriamente detta.

In linea di principio non ci sarebbe nulla di strano se la poesia ritornasse ad accompagnarsi alla musica; anzi, tale unione è la sua condizione originaria: l’esempio più facile sono i trovatori provenzali – gli iniziatori della poesia europea nel Medioevo – che di consueto scrivevano sia il testo che la melodia delle loro cansos; oppure, per il mondo classico, si può citare l’etimologia di “poesia lirica”, che in greco significa appunto “poesia da cantare accompagnandosi con la lira”.

Informazioni aggiuntive

Peso 0,17 kg
Titolo

L'ITALIANO DELLA CANZONE

Autore

ZULIANI Luca

Editore/Marca

Carocci

ISBN

9788843090877

Anno di pubblicazione

2018

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